Morte Antonietta Iovieno, cosa si poteva fare di più?
Nella giornata di ieri la maestra Antonietta Iovieno è stata trovata morta in casa. Aveva solo 44 anni. Qualche riflessione.

Nella tarda serata di ieri è venuta a mancare Antonietta Iovieno, insegnante agerolese di 44 anni. Senza troppi giri di parole, quello avvenuto alcune ore fa è un altro dramma della solitudine.
La sua prematura scomparsa ci impone una riflessione. A noi rimane l’idea di una persona sola nella morte tanto quanto nella vita. Abbiamo perso un’insegnante ed educatrice. Nonostante svolgesse il suo ruolo egregiamente, forse, se avesse ricevuto un maggiore sostegno dalla comunità educante (e dalla comunità intera agerolese), avrebbe potuto superare meglio le tante difficoltà di cui era gravata. Nonostante qualcuno chiami Agerola il “paese del buon vivere”, qui sopra non siamo affatto esenti da problemi sociali di vario genere. La discriminazione, spesso, non è evidente ma si nasconde in gesti subdoli e indiretti, volti a mettere ancora più a disagio la persona che vive una evidente sofferenza.
Quel che sappiamo di Antonietta è che era un’insegnante motivata e profondamente legata, ancor di più dopo la morte dei suoi genitori, al mondo della scuola, al quale aveva dedicato la sua vita. Nei suoi messaggi ne parlava come “la sua famiglia” e forse i bambini, nella loro naturale spontaneità, non la facevano sentire inadeguata o diversa, come invece gli adulti facevano troppo spesso. Adesso questa comunità educante ha una vocazione in meno: il mondo della scuola di Agerola ha perso una delle risorse più determinate nell’educazione dei bambini che, nel silenzio, ci ha lasciati col pensiero in testa che, forse, siamo ancora inadeguati e incapaci di comprendere determinate situazioni. Non è l’aspetto esteriore a contare: ciò che è davvero importante è la sostanza, l’azione, i comportamenti. Specialmente quando poi una persona svolge bene il suo lavoro. Forse proprio dal mondo della scuola deve partire una rivoluzione che ci coinvolga tutti e ci insegni a rispettare chi ha approcci diversi e soprattutto chi ha bisogno di aiuto. Una comunità civile e tutto sommato piccola non può non accorgersi della sofferenza di un suo membro e quindi non attivare percorsi di sostegno.