Home / Cronaca Locale  / Terapia al plasma: sì o no? Il parere di due dottori in Biologia

Terapia al plasma: sì o no? Il parere di due dottori in Biologia

Terapia al plasma sì o no? Negli ultimi giorni si sta parlando molto di quella che sembra essere una cura realmente funzionante per i malati di COVID-19.

Terapia al plasma sì o terapia al plasma no? Negli ultimi giorni in rete e in TV si sta parlando molto di quella che sembra essere una cura realmente funzionante per i malati di COVID-19. In estrema sintesi si fanno dei prelievi di sangue alle persone guarite dal virus, si estrae la parte liquida (che ha un colore giallastro e si chiama, per l’appunto, ‘plasma’) e la si inietta alle persone ricoverate in ospedale per COVID-19. Finora starebbe funzionando: le persone che hanno ricevuto il plasma dei guariti in molti casi hanno visto un significativo miglioramento delle loro condizioni di salute.

 

Ma è corretto affermare che “abbiamo trovato la cura per il coronavirus”? Non c’è una risposta definitiva. I casi di persone malate che sono migliorate fanno ben sperare. Anche se, come vedremo a breve in dettaglio, questa terapia presenta alcuni limiti evidenti. Una certezza, però, permane: si tratta di una cura da somministrare solo ai malati; per le persone sane che vogliono immunizzarsi contro il coronavirus, ovviamente, c’è bisogno di un vaccino.
Per questo motivo abbiamo chiesto a due persone laureate in biologia quali siano i limiti di questo trattamento.

 

Mariella Parmendola, di Castellammare di Stabia, dottoressa in Biologia alla Federico II di Napoli  con una tesi sperimentale in ematologia ci ha detto:

 

 

“La terapia del plasma iperimmune consiste nell’utilizzo del plasma dei pazienti guariti dal Covid-19 che hanno sviluppato anticorpi. Il plasma viene raccolto mediante separatore cellulare, procedura che dura circa 35-40 minuti e permette di raccogliere un prodotto ricco di anticorpi specificamente diretti contro il virus. Il plasma deve superare tutti gli accertamenti per la sicurezza onde evitare danni a chi lo riceve. Da un soggetto che dona 600 ml di plasma iperimmune possiamo trattare 2 pazienti.
Purtroppo ci sono dei limiti, tra cui la reperibilità in quanto la disponibilità dei donatori potrebbe essere ridotta. Inoltre è necessario valutare la carica complessiva degli anticorpi del donatore efficaci per il ricevente. I soggetti trattati non sono al riparo da successive infezioni, come invece sarebbero se avessero sviluppato una propria immunità contro il vaccino. Sono molti i laboratori che stanno lavorando per immagazzinare plasma e in attesa del vaccino, questa terapia, già ampiamente usata in Cina, sembra dare risultati incoraggianti e siamo in attesa di conferme certe”.

 

 

Queste sono le considerazioni in merito di Pietro Acampora, laureato in Biologia presso la Federico II, attualmente dipendente presso la casa farmaceutica Bayer.

 

 

“Si usa il plasma dei pazienti guariti perché questi ultimi hanno sviluppato gli anticorpi anti Covid. Naturalmente bisogna fare una serie di studi che vanno a valutare la quantità necessaria per avere la certezza della sua efficacia. Purtroppo con il plasma di una persona non si ricevono solo gli anticorpi che servono ma anche altri che ai fini della guarigione del COVID-19 non servono. Quindi bisogna aspettare il vaccino. Il plasma di una persona guarita si ottiene facendo un semplice prelievo, poi si separa il plasma che è la parte liquida dalla parte corpuscolata (globuli bianchi e rossi, piastrine). La verità che oggi nessuno conosce la soluzione, altrimenti non saremmo rimasti chiusi in casa per oltre due mesi e comunque dobbiamo continuare a fare attenzione. L’unica cosa che mi sento di suggerire e quello di fare ancora molta attenzione, quindi mascherine, lavarsi le mani e mantenere distanze più di 1 metro.
Inoltre so che reclutano i pazienti guariti (negativi al virus mediante almeno due tamponi) e di questi selezionano solo quelli con alto titolo di Anticorpi IgG neutralizzanti il virus (sarebbero gli anticorpi più “potenti”); questi dovrebbero essere il 25/30% dei guariti. Donano il sangue da cui, con procedimenti particolari estraggono il plasma ricco di questi anticorpi. Non è un procedimento semplicissimo. Stanno facendo uno studio a Pavia e uno a Mantova. I pazienti trattati sembra che migliorino, soprattutto se si dà plasma prima che arrivino alla rianimazione o nelle prime fasi della rianimazione stessa.
Potrebbe essere interessante questo approccio perché farà individuare l’anticorpo più efficace nel neutralizzare il virus per costruire un progetto di ingegneria biomolecolare che farà sintetizzare la proteina (anticorpo monoclonale) così da renderla disponibile su larga scala. Nel frattempo ribadisco i consigli sopra menzionati”.

 

ARTICOLO E INTERVISTE A CURA DI EDOARDO CIOTOLA

NESSUN COMMENTO

SCRIVI UN COMMENTO