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Al referendum voto no: ecco perché (Carmen Naclerio)

Il 20 e 21 settembre si voterà per il referendum sul taglio dei parlamentari. Carmen Naclerio ci ha detto le sue ragioni per il "no".

referendum Carmen Naclerio

Il 20 e 21 settembre, contestualmente alle elezioni regionali e comunali, gli italiani sono chiamati a votare per il referendum sul taglio dei parlamentari. La Voce di Agerola dà spazio a chiunque voglia dire la propria sull’argomento. Chi è interessato/a può contattarci tramite Facebook e Instagram e inviarci le proprie riflessioni. Oggi iniziamo con Carmen Naclerio, figlia di agerolesi ma residente a Frosinone, Dottoressa in Giurisprudenza ed in Economia e Management. 

Ecco le sue ragioni per il “no”:

 

Un grande costituzionalista nonché giudice emerito della Corte costituzionale, Sabino Cassese, ha affermato che “la Costituzione si deve modificare perché così era scritto nel suo codice genetico”. Dopotutto, gli stessi padri costituenti avevano previsto la possibilità di modificare la Carta costituzionale proprio perché non si può pretendere che una Costituzione possa rimanere identica per un periodo di tempo indeterminato: è necessario che la Carta fondamentale di uno Stato sia al passo delle esigenze dello Stato stesso.
Il 20 e il 21 settembre, infatti, saremo di nuovo chiamati alle urne per esprimere la nostra preferenza in un referendum confermativo di una modifica della Costituzione: dovesse vincere il Sì, si avrebbe come risultato il taglio del numero dei parlamentari, da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. A primo impatto verrebbe da pensare che, in caso di vittoria del Sì, non si avrebbe un vero e proprio stravolgimento dell’assetto istituzionale ma solo il semplice sfoltimento del numero dei parlamentari e che, dopotutto, questo porterebbe esclusivamente ad un risparmio di denaro pubblico.
Io ci ho riflettuto su e non sono assolutamente arrivata alle stesse conclusioni.
Dovesse essere confermato questo taglio nel numero dei parlamentari, innanzitutto, l’Italia diventerebbe il Paese dell’Unione Europea con il minor numero di parlamentari in rapporto alla popolazione. Dovesse vincere il Sì, il nostro Parlamento avrebbe un deputato eletto ogni 151.210 abitanti e un senatore eletto ogni 302.420 abitanti (a fronte dei numeri di oggi, un deputato ogni 96.000 abitanti circa e un senatore ogni 192.000 abitanti circa). Meno rappresentanti per lo stesso numero di cittadini significa consegnare nelle mani del singolo parlamentare una quantità potere maggiore rispetto alla situazione preesistente alla modifica, diminuire la rappresentatività significa indebolire il concetto di Parlamento come canale di collegamento tra Stato e popolo.
Chi porta avanti la necessità di ridurre in questo modo il numero dei parlamentari spesso sottolinea il fatto che si avrebbe come vantaggio il risparmio di una somma importante di denaro pubblico. Ebbene, secondo l’Osservatorio Conti Pubblici italiani tale risparmio ammonterebbe allo 0,007% della spesa pubblica italiana annua. Insomma, si parla di un risparmio esiguo per un cambiamento per giunta dannoso. Risparmiare è spesso utile ma nessuna madre e nessun padre di famiglia dotati di buon senso risparmierebbero mai se il risultato fosse una vita qualitativamente peggiore per la propria famiglia.
Dagli elettori che hanno intenzione di votare Sì, peraltro, viene spesso avanzata la riflessione per cui ad un numero più basso di parlamentari conseguirebbe una velocizzazione dell’iter legislativo, di cui è nota la lunghezza. Tuttavia, ad oggi la nostra Costituzione prevede che per la formazione di una legge lo stesso identico testo venga approvato da entrambe le Camere secondo un procedimento che prende il nome di “navetta parlamentare”, ossia il passaggio ripetuto di un testo da una Camera all’altra prima dell’approvazione finale. La modifica costituzionale per cui siamo chiamati ad esprimere la preferenza non intaccherebbe per nulla la modalità di formazione di un testo legislativo, il cammino di formazione di un testo rimarrebbe lento allo stesso modo e questo rimpallo del testo tra le due Camere continuerebbe ad esserci nonostante il taglio dei parlamentari.
In ultimo, una mia riflessione personale sul punto. Che i costi della politica in Italia siano vertiginosi è un dato di fatto e nessuno affermerebbe il contrario; eppure, il risparmio che con questa riforma si punta ad ottenere si sarebbe raggiunto con una semplice riduzione degli stipendi dei parlamentari, attuabile con un’altrettanto semplice delibera degli Uffici di Presidenza delle Camere senza chiamare in causa i cittadini. Un’elementare delibera che avrebbe ridotto i privilegi parlamentari, il tutto con buona pace della rappresentanza dei cittadini in Parlamento.

CARMEN NACLERIO

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