Al referendum voto no: ecco perché (Mario Picariello)
Mario Picariello, laureato in Giurisprudenza e praticante avvocato, ci dice perché, a suo avviso, il "no" è la scelta da fare nel referendum.

Il 20 e 21 settembre, contestualmente alle elezioni regionali e comunali, gli italiani sono chiamati a votare per il referendum sul taglio del numero dei parlamentari. La Voce di Agerola dà spazio a chiunque voglia dire la propria sull’argomento. Chi è interessato/a può contattarci tramite Facebook e Instagram e inviarci le proprie riflessioni. Oggi ci dice la sua Mario Picariello, laureato in Giurisprudenza presso la Federico II e praticante avvocato presso l’avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli.
Ecco le sue ragioni per il “no”:
“È una questione di qualità o una formalità?! Non ricordo più bene! Come decidere di farla finita con qualcuno o qualcosa, una formalità o una questione di qualità!?”. Agli albori di quella che sarà una breve carriera, il gruppo musicale “CCCP” strimpellava queste semplici parole: È UNA QUESTIONE DI QUALITÀ! Le strofe, poc’anzi richiamate, possono sembrare qualcosa di avulso dall’attuale contesto politico o dalle scelte riformatrici del c.d. Legislatore Italiano. Tuttavia, il testo di questa eclettica band rappresenta per me un utile filtro critico che, con estrema semplicità, potrebbe sintetizzare la giusta scelta riformatrice.
Il 20 e 21 settembre milioni di italiani si recheranno alle urne per decidere le future sorti della loro rappresentanza parlamentare. La riforma sottoposta al vaglio dei cittadini prevede di ridurre da 945 a 600 il numero dei parlamentari: da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori, riducendo sostanzialmente di 1/3 il potere del relativo organo che per antonomasia simboleggia la principale e unica fonte della volontà popolare. L’eventuale soppressione di una cospicua parte dell’organo parlamentare, tuttavia, non sarà accompagnata da una coerente decisione sul piano dell’attuale sistema elettorale. Tale eventualità renderà la “cooptazione elettorale” la principale regola aurea del sistema democratico più di quanto già non lo sia nei fatti.
Se diminuisce il numero dei seggi, il valore di questi aumenterà solo per chi vi compete ma non necessariamente per tutti noi. Più restringeremo il numero dei seggi per cui si concorre, più la competizione elettorale avrà bisogno di maggiori risorse economiche. Insomma ci sarà la formazione di un gruppo parlamentare che ha un privilegio superiore. Paradossalmente, se noi vogliamo costruire una casta, questa è la direzione giusta. Quale sarà allora il passo successivo a tale abominevole scelta riformatrice? Una legge elettore ad hoc che consenta con estrema semplicità di radicare in una piccola cerchia di “governanti” il potere di decidere unilateralmente le scelte legislative nazionali.
La storia insegna! Il 18 novembre 1923 (dopo la Prima Guerra Mondiale ed in un periodo di forte recessione economica che al pari dell’attuale situazione epidemica rappresentò un ottimo escamotage per cercare di attuare riforme falsamente utili) fu promulgato una norma nota come legge “Acerbo”, fortemente voluta da Benito Mussolini, che imbrigliava ed elideva la già compromessa volontà popolare. Le successive elezioni avvennero in un clima di intimidazioni con brogli anche superiori alla media (alta) dell’Italia dell’epoca. I protagonisti della scena politica di allora, nella corrotta convinzione di semplificare l’iter normativo, di fatto, eliminavano ogni forma di tutela e di rappresentanza contro quella maggioranza tirannica chiamata “fascismo”. Il dèmos, la cd. sovranità popolare, non era ancora stata compiutamente definita e trasfusa nella carta costituzionale che tutt’oggi protegge noi cittadini dalle derive autoritarie di una malsana politica. Nei primi anni del ‘900 la sovranità popolare non rappresentava il fulcro nevralgico dell’attuale democrazia. Per tali ragioni, i Costituenti del 1948 impressero tale principio nel testo costituzionale, intriso del sangue dei patrioti Italiani, proprio per regalare alle future generazioni il dono più importante: LA LIBERTA’.
Tanto premesso vorrei fare delle semplici constatazioni conclusive: a chi con estremo qualunquismo afferma che il risparmio è comunque una soluzione positiva per l’Italia, ho da obiettare che se si vuole essere coerenti e se l’obiettivo è solo il risparmio, allora teniamo 10 parlamentari, altro che 600! Se quello è l’argomento vincente per decidere le future sorti di noi italiani, allora risparmiamo davvero! D’altro canto come possiamo sapere che il denaro così accantonato non verrà poi gestito in maniera dissoluta dai parlamentari che restano? Come facciamo a essere sicuri che ci sarà un risparmio anche nel futuro? Quali certezze avremo circa le reali percentuali che interesseranno la rappresentanza territoriale dei piccoli centri urbani? Se vogliamo un governo che costa poco a noi tutti, allora quello è il governo degli oligarchi. I parlamentari devono essere retribuiti adeguatamente quando “servono” la Repubblica. Il problema, semmai, è quanto sono retribuiti! Personalmente voterò NO perché non è una questione di quantità ma di QUALITA’!
MARIO PICARIELLO